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mercoledì 20 luglio 2011

Autonome, organizzate
e inclusive: sconti a nessuno
di Stefanella Campana

Al Cedaw (ONU) le risposte inevase del governo
Non faranno sconti a nessuno. Le donne che si riconoscono in SeNonOraQuando sono state molto chiare a Siena. Non sono antipolitiche come qualcuno ha frainteso per alcuni fischi “critici” nei confronti della politica, ma misureranno tutte le azioni che prenderanno i partiti, da destra e da sinistra, in merito all’agenda che proporranno le donne, tutte quelle che intendono starci, senza pregiudizi e pregiudiziali. Una fase del femminismo, paragonato da sempre a un fiume carsico che entra ed esce dal mondo visibile mantenendo intatta la sua portata, sembra conclusa. Il movimento di SNOQ vuole essere organizzato (la rete delle donne è dato per acquisito: gli oltre cento comitati territoriali agiscono in base alla propria realtà), stabile, autonomo e inclusivo delle tante differenze, da chi porta l’esperienza della storia e del pensiero delle donne a partire dagli anni Settanta alle più giovani che devono cercare il proprio modo di esprimere idee, progetti e la propria libertà. Intanto il successo alle elezioni amministrative che ha portato molte donne al governo delle città (Torino, Milano, Bologna, Cagliari, Napoli…) e messo in crisi quello che le aveva ignorate (vedi Roma) hanno il segno della ritrovata forza delle donne nel difendere i propri diritti.
Anche a livello internazionale le donne italiane si sono fatte sentire, come al CEDAW , uno dei principali trattati delle Nazioni unite, sottoscritto da quasi tutti i Paesi del mondo, per assicurare l’applicazione e il pieno godimento dei diritti delle donne. L’Italia ha ratificato la Convenzione per l’Eliminazione di ogni discriminazione contro le donne nel 1985. Ogni 4 anni i vari governi devono presentare un rapporto ad un Comitato di 23 membri, esperti da tutto il mondo, per illustrare cosa hanno migliorato, come e quali risultati hanno ottenuto. Nel corso della 49a sessione alle Nazioni Unite, il 14 luglio a New York, hanno risposto i rappresentanti del governo italiano. Come voce di controcampo, il comitato ha ricevuto altri 4 rapporti ombra, tra cui quello preparato dalla piattaforma “Lavori in corsa: 30 anni CEDAW”, che mette in luce quanto ancora c’è da fare in Italia per garantire un eguale e soprattutto reale accesso e partecipazione alla politica, al lavoro, alla salute, alla protezione dalla violenza, alla cultura etc.. a tutte le italiane, migranti, seconda generazione, disabili, rom e alle persone con diverso orientamento sessuale. Era la prima volta che la società civile italiana presentava un rapporto ombra e partecipava alla sessione di valutazione. Il rapporto, elaborato ha raccolto l’adesione di oltre 120 organizzazioni della società civile sia nazionali che locali e centinaia tra di singoli donne e uomini, creando un comune denominatore tra tante realtà molto diverse tra loro.
I rappresentanti del governo hanno risposto alle domande del Comitato CEDAW alle Nazioni Unite per quel che hanno potuto ma non sono stati in grado di dare informazioni esaustive in diversi punti critici. Molte domande sono rimaste inevase. Ad esempio, avanzare il pretesto dei problemi di budget per giustificare la non applicazione di politiche inclusive delle donne non può essere utilizzata perché molte azioni possono realizzarsi senza intaccare il bilancio, anzi, utilizzare un approccio di genere potrebbe rendere molto più efficiente l’allocazione delle voci della spesa pubblica permettendo l’inclusione delle donne in ogni settore e l’accesso ai loro diritti al pari di quelli degli uomini. Lo smalto che ha perso l’Italia nei contesti internazionali è anche dovuto al fatto che non si rispetta mai lo standard internazionale richiesto. Siamo tra gli ultimi nelle classifiche europee che indicano quanto un paese sta progredendo, e, pur essendo tra i paesi del G8, non siamo di esempio per gli altri perché non applichiamo molte delle direttive europee che ci renderebbero più credibili davanti alle Nazioni Unite. Un esempio? La l.188/2007 sulla base di una direttiva europea aiutava a contrastare la pratica delle dimissioni in bianco sopratutto per donne in maternità ed è stato uno degli atti abrogati dalgoverno nel 2008. Noi donne garantiamo il ricambio generazionale per la società italiana, mettendoci il nostro sforzo fisico, psicologico, emotivo perché incinte, e dopo abbiamo una buona possibilità di restare a casa, senza possibilità di scegliere e tornare a lavorare, come il diritto alla maternità che si sta sempre più restringendo in tutte le regioni. Quanto ancora dovremo aspettare? In Italia le donne contano oltre il 53% della popolazione, e una democrazia di solito è rappresentata dalla maggioranza. Basterebbe applicare l’art.51 della Costituzione per avere più donne in politica. Siamo noi a laurearci di più e con i migliori voti, ma solo il 14% delle donne è professore ordinario all’università. Poco meno di una donna su due lavora, a sud una su tre, le altre perdono la speranza e non cercano neanche lavoro. Lo sforzo delle politiche va nella direzione di rimettere a casa, ma forse il governo non ha capito che i tempi sono cambiati e che saremo noi, che da secoli sopportiamo le maggiori sofferenze e perdite, che siamo il fattore di sviluppo e progresso per garantire a tutti il pieno godimento della vita.
Si potrà avviare un dialogo costruttivo, per cercare di cambiare, insieme, il presente e il futuro delle donne in Italia?



Aderiscono alla piattaforma Lavori in Corsa – 30 anni CEDAW: Fondazione Pangea Onlus, Giuristi Democratici, ActionAid, ARCS-ARCI Cultura e Sviluppo, IMED- Istituto per il Mediterraneo, Be Free, Fratelli dell’Uomo, Differenza Donna ONG.

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