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Se non ora, quando?

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sabato 9 aprile 2011

Le donne buone e quelle cattive

di Silvia Ballestra
Il Riformista, 5 aprile 2011

INTERVENTO. Ci si aspettava gli attacchi da destra alla manifestazione “Se non ora, quando?”. Ma non dalle cosiddette femministe storiche come Luisa Muraro e Maria Nadotti, Laura Lepetit e Marina Terragni. L’accusa di bigottismo è infondata, non bisogna temere che i giudizi vengano strumentalizzati. C’è quotidianamente la possibiltà di scegliere che strada seguire.

Non poche donne sono rimaste amareggiate dalla presa di posizione di molte delle cosiddette femministe storiche verso la manifestazione del 13 febbraio. Prima di tutte, probabilmente, le organizzatrici delle piazze del “Se non ora, quando?”. E non perché si volesse una sorta di benedizione-legittimazione da parte della vecchia guardia: semplicemente, ci si aspettava di non essere attaccate. Se non aiutate (e il lavoro, per portare in piazza e accogliere allegramente centinaia di migliaia di persone, non è stato uno scherzo: tempo, contatti, energie, sottratti ai già numerosi impegni di ciascuna), magari non boicottate. E, invece, nei giorni precedenti la manifestazione, abbiamo assistito a un moltiplicarsi di distinguo, contrarietà, sarcasmi, dispiaceri vari.
In ordine sparso: il timore di andare «per conto di qualcuno» espresso da Luisa Muraro, le pulci fatte all’appello per la mobilitazione da Maria Nadotti, gli scuotimenti di capo di fronte alle sciarpe bianche di Laura Lepetit, il riposizionamento clamoroso (a manifestazione avvenuta o un attimo prima) di Marina Terragni e vari altri distinguo ancora.
Oltre ai prevedibili attacchi provenienti da destra e dai fiancheggiatori del Sultano, a sorpresa abbiamo visto riprendere gli stessi argomenti da donne apparentemente distantissime da quella parte politica: l’accusa di bigottismo, il timore di essere strumentalizzate, la divisione buone/cattive, la difesa d’ufficio della prostituzione sono stati spesi a piene mani sia dai Giuliani Ferrara & Co., sia da molte femministe, in rete o interpellate da alcuni quotidiani.
Vale dunque la pena tornare a riflettere su questi malintesi per non prestarsi a essere divise – qui sì, donne contro donne – da chi, in un momento di grande debolezza, è alla ricerca disperata di appigli e crepe.
L'accusa di bigottismo: chiedere di avere un’immagine della donna in tv e pubblicità meno ovvia e pecoreccia, meno disponibile e mercificata, meno – guarda caso – conforme ai fumettistici desideri da grado zero di certo erotismo maschile, significa essere bigotte? Chiedere di fare carriera per merito e non per favori sessuali è bigottismo? Denunciare le scorciatoie offerte alle donne è moralismo? O non è, piuttosto, autodifesa? Come mai i più giovani il moralismo non ce lo vedono e capiscono al volo, invece, di cosa si parla quando li si considera target, obiettivi di pubblicitari e autori di deleteri programmi tv diretti proprio a loro in quanto consumatori? Dire che trasmissioni come La pupa e il secchione fanno schifo e pietà sin dal titolo, significa essere bigotti? Moralisti? O non, più semplicemente, stufi di mistificazioni autoritarie e stucchevoli? Come ci ricorda saggiamente Bianca Beccalli sul Corriere, anche negli anni settanta si combattevano la donna oggetto e la mercificazione del corpo: “le femministe bruciavano i reggiseni, attaccavano i negozi di biancheria intima, non si depilavano”. Pensiamo per un attimo a come sarebbero rubricate oggi simili azioni: bacchettonismo molesto? Moralismo militante? O hanno ragione le ragazze di via Olgettina quando commentano al telefono gli acquisti di biancheria intima compiacendosi: «Più troie siamo più ci vuole bene»?
Il timore di strumentalizzazione: mi rendo conto che è seccante (è successo anche a me, in questi anni) vedere argomenti e riflessioni a lungo snobbate dai grandi media, riprese e sviluppate da chi non ti ha mai degnato d’attenzione, solo sull’onda dello scandalo sessuale di Berlusconi. È questo un buon motivo per impuntarsi, rinnegare le proprie battaglie sul tema, ritirarsi sdegnate? O non sarà l’occasione per usare proprio questa apertura di spazi e attenzione per far passare – assieme agli argomenti più facili e scorrevoli e familiari ed evidenti (il velinismo, le candidature dopate) – anche argomenti più ostici e complicati (il precariato, la crisi pagata dalle donne, gli attacchi all’autodeterminazione)? A tratti sembra che le femministe della vecchia guardia, chiamiamole così, si arrocchino nella difesa di un’egemonia ormai arrugginita, confinata in circoli e piccoli cenacoli autoreferenziali che rinchiudono un grande dibattito in un piccolo ghetto elitario e respingente. Le loro battaglie combattute da altre? I loro argomenti rinfrescati e agitati? Sacrilegio! Una posizione un po’ «dopo di noi il diluvio» che sembra oggi soltanto la rivendicazione di una primogenitura (grazie, brave) insieme al timore di essere scavalcate (o noi o niente).
La divisione buone/cattive, altro argomento strumentalmente cavalcato dai giornali del boss e da tante donne di destra. Insieme ad altre, sono stata accusata (io!) di indire una crociata, una nuova «caccia alle streghe» per aver chiesto le dimissioni di Nicole Minetti dal consiglio regionale della Lombardia. Da quando chiedere le dimissioni di qualcuno equivale a dare la caccia alle streghe? Mi si dice: dividete le donne in buone e cattive e questo non si fa. Sarà.
Peccato che personalmente passo la giornata a esercitare la mia libertà di giudizio e scegliere i comportamenti che ritengo più consoni, coerenti, limpidi, sia degli uomini che delle donne. Perché, solo per appartenenza di genere, una donna dovrebbe essere esente da critica? Dove sta scritto? Chi l’ha deciso, per me, in nome di una sorellanza purché sia, decisamente superata dagli eventi? Perché dovremmo rassegnarci a vedere ridotti i nostri spazi – essendo lo spazio pubblico costantemente occupato da donne caricaturali sbattute in heavy rotation in una televisione che non ha eguali nel resto dell’Occidente – e non rivendicare, anche solo per un giorno, per una piazza, la visibilità di donne alternative al modello di donna berlusconiana? Dire esisto anch’io e non sono quella roba lì significa attaccare altre donne?
Mi tengo la mia perplessità, e pure l’idea che la signorina Minetti occupi abusivamente una posizione di potere ben retribuita per i meriti che sappiamo.
Quanto alla prostituzione. Benissimo le riflessioni e le analisi d’antan, ma qui siamo di fronte a una diversa e ambigua interpretazione della prostituzione marcata già dal termine: escort. Non si tratta delle ragazze di strada ostaggio del racket, delle schiave del sesso, delle prostitute per necessità. Qui abbiamo delle ragazze che non hanno voglia di tribolare per un lavoro più difficile, per percorsi più accidentati, che si ripetono tra loro al telefono che «un cristiano normale deve lavorare sei mesi per prendere quello che ho preso io». Queste ragazze sono arrampicatrici sociali, molte di loro si dichiarano berlusconiane dalla nascita (qualcuna da tre generazioni!), perfettamente conseguenti alla ideologia del Capo a cui si consegnano anima e corpo, per la maggior parte niente affatto indigenti, capaci di comprarsi – coi soldi delle ricche buste elargite dal ragionier Spinelli – sino a venticinque paia di scarpe in un pomeriggio. Dovremmo provare solidarietà? Considerarle vittime? Ammirarle per il loro spirito imprenditoriale come ci invita, comicamente, a fare qualche uomo liberista scopertosi improvvisamente estimatore delle fortune su cui sedersi come Piero Ostellino, che di queste questioni è diventato l’ineffabile macchietta liberale? Dobbiamo dispiacerci per le carriere stroncate dal coinvolgimento nello scandalo? E di che carriere parliamo? Le solite. O nelle tv del Capo, o nella tv pubblica controllata dal Capo, o nei listini bloccati del Capo (e con stipendi da capogiro poi pagati dalle tasse di noi cittadini).
Tutte queste posizioni e sottili distinguo hanno naturalmente diritto di cittadinanza nel dibattito vivace, e per fortuna infinito, sulla condizione della donna. Ma la loro concomitanza con una grande manifestazione, il loro sapiente sfruttamento da parte della propaganda del padrone le ha trasformate, nei fatti, in un elemento di rottura, in un attacco frontale alle donne che sono invece scese in piazza, tante e volentieri, il 13 febbraio. L’accusa di “farsi strumentalizzare” è dunque risibile: possibile che non si siano sentite strumentalizzate dai Belpietro e dai Sallusti di turno le vecchie militanti, proprio loro così argute e scafate?
La richiesta di dignità, molto citata nella fortunata manifestazione del 13 febbraio passa anche per la denuncia di comportamenti poco dignitosi, che siano maschili o femminili. Streghe, qui, non ce ne sono, non c’è il bene e non c’è il male, non c’è il buono e non c’è il cattivo. C’è chi chiede dignità e chi se la vende per buste di contanti. Mi pare semplice.

Brano tratto dal numero 130 de Lo straniero, diretto da Goffredo Fofi, Contrasto editore.

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