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Se non ora, quando?

Per tutte le iniziative della mobilitazione Se Non Ora Quando? promossa e sostenuta dall'associazione Di Nuovo consulta il blog


venerdì 29 aprile 2011

Io sono emozione

Lunetta Savino partecipa all'incontro con Eve Ensler, il 15 maggio al Salone del Libro di Torino, portando l'esperienza di Se Non Ora Quando?

Domenica 15 maggio ore 18.00 – Sala Gialla
Io sono emozione
Manifesto per la dignità delle giovani donne
Ed. Piemme

Incontro con Eve Ensler
autrice de I monologhi della vagina
Intervengono Lella Costa e Lunetta Savino
Conduce Monica Capuani

giovedì 28 aprile 2011

Libere al Teatro Sannazzaro di Napoli

mercoledì 27 aprile 2011

Libere va a scuola

LIBERE di Cristina Comencini va in scena all'Istituto ISIS "Rosario Livatino" di Napoli

con Anna Carabetta e Maria Marino
e la partecipazione di Fabiana Pierbattista

Sabato 21 maggio ore 11
Via Domenico Atripaldi 42, Napoli

sabato 23 aprile 2011

Come a trent'anni si perde il lavoro per avere un figlio

Precaria, incinta, licenziata. "Non chiedevo la luna"

Katia ha 36 anni. Dottorato e master. Dopo 5 anni di contratto a progetto con mansioni da dipendente, Italia Lavoro la manda a casa al sesto mese di gravidanza. "Mi chiedo cosa potrò offrire a mia figlia"

di Emanuele Di Nicola, rassegna.it

E' una società del ministero del Lavoro gestita con soldi pubblici. Ma non esita a licenziare una donna incinta al sesto mese di gravidanza, insieme a molti altri lavoratori. Una situazione davvero paradossale quella dell'agenzia Italia Lavoro, che adesso rischia di perdere i ricorsi e pagare i risarcimenti con i soldi dei cittadini italiani. All'interno di questo caso, poi, c'è la vicenda personale di Katia Scannavini: 36 anni, laureata con master, mandata a casa dall'agenzia dopo cinque anni di contratto a progetto, in piena gravidanza. A lei abbiamo chiesto di raccontarci come sono andate le cose.
Leggi l'intervista

venerdì 22 aprile 2011

Appello ai candidati sindaco

Sono arrivati a 100 in tutta Italia i comitati Se non ora quando, nati spontaneamente dopo la grande manifestazione del 13 febbraio. Questo il risultato del censimento realizzato dal Comitato nazionale, che sta lavorando alla formazione di una rete delle donne italiane e si appresta a lanciare una grande iniziativa nazionale.

I comitati si sono formati secondo le caratteristiche di trasversalità espresse dalla manifestazione del 13 e sono aperti a tutte le donne, nel rispetto dell'appartenenza politica, culturale, di formazione e di credo di ciascuna. Il nostro principale obiettivo è coinvolgere il più alto numero di donne possibile, a partire dalle più giovani, nella costruzione di un paese per donne e di donne per la rinascita dell'Italia.

La forza espressa dalla mobilitazione del 13 febbraio ha già portato a qualche significativo risultato: candidati sindaci di grandi città, come Milano Torino e Bologna, hanno preso l'impegno, in caso di elezione, di costituire giunte nelle quali ci sia parità di presenza tra uomini e donne.

Il comitato nazionale Se non ora quando lancia un appello a tutti i candidati e a tutte le candidate sindaco alle prossime elezioni amministrative del 15 e 16 maggio affinché si impegnino concretamente prima del voto a favore di una presenza massiccia di donne nelle loro liste, a costituire giunte di governo che vedano una parità di rappresentanza tra donne e uomini e a favorire la promozione del ruolo delle donne in ogni ambito del governo delle città.

Roma, 22 aprile 2011

IL COMITATO NAZIONALE SE NON ORA QUANDO?

giovedì 21 aprile 2011

Libere a Napoli

25 maggio ore 21, Teatro Sannazzaro

Con Antonella Stefanucci e Chiara Baffi

Regia di Carlotta Cerquetti

Dimissioni in bianco, disoccupazione giovanile e nessun welfare per la maternità: l'ipocrisia del Governo sulla famiglia

Sulle spalle della famiglia, di Chiara Saraceno da lavoce.info 20 aprile 2011

Il governo sostiene di aver rafforzato il ruolo della famiglia. E infatti ricadono sulle famiglie italiane tutti i problemi di cui, nella maggior parte dei paesi, si fa carico lo stato sociale: dalla povertà alla dipendenza in età anziana, dalla disoccupazione giovanile alla cura dei bambini piccoli quando la madre lavora. Le timide proposte innovative del Piano nazionale per la famiglia sono rimaste lettera morta. Senza contare che una disoccupazione giovanile vicina al 30 per cento impedisce ai giovani di crearsi una propria famiglia. Le dimissioni delle lavoratrici madri.

Non ha torto Silvio Berlusconi ad affermare che il suo governo ha rafforzato il ruolo della famiglia. Basta intendersi su che cosa significa “rafforzare”.

LE FAMIGLIE E IL WELFARE

Il ruolo della solidarietà famigliare, sempre importantissimo nel nostro welfare debole e squilibrato, è uscito indubbiamente rafforzato dalla riduzione dei trasferimenti agli enti locali (a partire dall’abolizione dell’Ici), quindi delle risorse per i servizi alla persona, così come dalla riduzione dell’offerta educativa della scuola pubblica in termini di contenuti e di tempo.Èstato rafforzato anche dal mancato adeguamento del sistema di protezione sociale a un mercato del lavoro flessibile, dove la precarietà e la disoccupazione colpiscono soprattutto i giovani.
Questa modalità di rafforzamento è stata teorizzata esplicitamente nei due più importanti documenti del governo sul welfare: il Libro bianco sul futuro del welfare e il documento Italia 2020 sull’occupazione femminile e i problemi di conciliazione. (1) Entrambi i documenti indicano appunto nella solidarietà famigliare la principale risorsa su cui contare per far fronte a tutti i problemi di cui, nella maggior parte dei paesi, si fa carico in larga misura lo stato sociale: dalla povertà alla dipendenza in età anziana, dalla disoccupazione giovanile alla cura dei bambini piccoli quando la madre lavora.
Le timide proposte innovative indicate con grande enfasi nel novembre scorso dal Piano nazionale per la famiglia, e commentate su questo sito, sono rimaste lettera morta. (2)
Sulla base dell'obiettivo di rafforzamento del ruolo delle famiglie, si è proceduto a tagli indiscriminati, salvo che sui sussidi alla scuola privata, e si è di fatto vanificato il fondo per il sostegno all’affitto. Ma non solo: si è anche ripetutamente sottovalutata la drammaticità di una disoccupazione giovanile che tocca il 30 per cento.
Peccato che non tutti abbiano alle spalle una famiglia che può provvedere in caso di necessità. E peccato che proprio la dipendenza dalla solidarietà famigliare, oltre a sovraccaricare le famiglie e a sottoporre a tensione bilanci spesso modesti, renda più difficile per i giovani costituire una propria famiglia, se lo desiderano. Rende anche difficile alle mamme conciliare famiglia e lavoro, se non hanno un reddito sufficiente a pagare un servizio privato, o una mamma o una suocera disponibili e in grado di condividere le responsabilità di cura.

LE NORME PER LE LAVORATRICI MAMME

Alle mamme, poi, il governo Berlusconi ha fatto un brutto scherzo fin dall’avvio del governo. Nel giugno 2008, in nome della semplificazione, il ministro Sacconi ha infatti ha abrogato la norma che imponeva la procedura telematica per le dimissioni volontarie. Era stata approvata a largissima maggioranza bipartisan dal parlamento pochi mesi prima, durante il governo Prodi, per cercare di contrastare l’abitudine di far firmare in bianco una lettera di dimissioni all’atto dell’assunzione – un’abitudine molto diffusa soprattutto nelle aziende del Nord e molto utilizzata soprattutto contro le lavoratrici che rimangono incinte. La consigliera di parità nazionale che, facendo il proprio mestiere, osò protestare per il danno che ne sarebbe seguito per coloro che volevano avere un figlio, si vide revocata la nomina. Solo un anno dopo è stata introdotta una nuova norma, di fatto più complessa, che richiede che un genitore che si dimette “volontariamente” durante il periodo protetto dalla legge sui congedi confermi la propria volontà davanti a un funzionario della direzione provinciale del lavoro (nota prot. 25/II/2840 del 26 febbraio 2009). La nuova norma, tuttavia, riduce la protezione al solo periodo coperto dalla legge sulla maternità e paternità. Non protegge affatto da dimissioni forzate al termine di quel periodo, quando la lavoratrice dovrebbe tornare al lavoro.

(1) Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, Libro bianco sul futuro del welfare. La vita buona nella società attiva, Roma, maggio 2009; ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ministero per le Pari opportunità, Italia 2020. Programa di azioni per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro, Roma, dicembre 2009.
(2)Verso un piano nazionale per la famiglia, novembre 2010. Per un commento su questo sito si veda Daniela Del Boca e Chiara Saraceno, “Una tradizionale famiglia italiana”, 9.11.2010

lunedì 18 aprile 2011

A proposito di donne nei CDA

da Corriere Economia, 18 aprile 2011

The Plight of Women in Italy

University of Notre Dame
Italian Studies at Notre Dame presents

The Plight of Women in Italy

Marina Calloni
Professor University of Milano-Bicocca and Italian Fulbright, University of Notre Dame

Wednesday April 27, 4:30 pm
Special Collections Hesburgh Library

The lecture will be followed by ascreening of the theatrical piece “Libere”, written by Cristina Comencini, directed by Francesca Comencini, starring Isabella Ragonese and Lunetta Savino, produced by the Association “Di Nuovo”, translated by Rosi Braidotti.

Co-Sponsors:

Africana Studies
College of Arts and Letters
Department of Romance Languages
Gender Studies PhD in Literature
Nanovic Institute for European Studies

Contact

italstud@nd.edu 574.631.6886
italianstudies.nd.edu

All Roads Still Lead to Italy...



sabato 16 aprile 2011

Sgambetto alle quote rosa

di Gianna Fragonara sul Corriere della Sera, 16 aprile 2011

Sembrava fatta, ma la legge sulle quote rosa nei consigli di amministrazione delle società per azioni rischia di nuovo di saltare. All'ultimo minuto, quando ormai sembrava solo questione di giorni per l'approvazione finale, un emendamento del governo che recepisce le richieste già avanzate da Confindustria, banche e assicurazioni nei mesi scorsi manda all'aria il compromesso raggiunto faticosamente al Senato tra maggioranza e opposizione.
Ufficialmente la politica è bipartisanamente d'accordo che lentamente e con cautela le quote vadano introdotte, sia nell'economia che nella politica (è di questi giorni una proposta per le quote riservate anche nelle elezioni amministrative). E dietro le quinte? Viene da chiedersi, chi ha paura delle quote rosa? Diamo per scontato quei cento-duecento uomini che dovranno cedere il loro posto alle donne. Ma evidentemente anche molti altri se l'ultima proposta avanzata dal governo che è sceso in campo ufficialmente per fermare il compromesso negoziato dai suoi parlamentari è che nel 2015 le donne siano il 10 per cento (una su dieci consiglieri, per piacere non chiamatele quote, chiamatele briciole), poi nel 2018 il 15 o al massimo il 20 per cento. E poi... e poi se la vedranno i nostri nipoti e le nostre nipoti.
Perché non è possibile un confronto aperto su una questione che in tutta Europa è scontata? E davvero in Italia non ci sono cento o duecento donne, intellettuali, avvocatesse, manager, per ricoprire degnamente questi ruoli? Gli unici ad essere coerentemente contrari alle quote sono i radicali, e lo rivendicano. Negli altri partiti ci sono però molti che non le vogliono: una bella grana per le cordate e per le nomine pubbliche, tanto per cominciare. Ma essere apertamente contro le quote è antipatico, impopolare e sa di vecchio. Forse, invece, una discussione aperta anche delle ragioni del no potrebbe portare a soluzioni condivise, moderne e attuabili. Perché rinviare di quasi dieci anni le quote rosa significa che entreranno in vigore quando, vogliamo sperare, dovrebbero invece essere superate.
Significa anche approvare una legge ridicola. Gianna Fregonara ©

mercoledì 13 aprile 2011

Rapporto OCSE: le donne lavorano gratis tre ore più degli uomini

Ocse: in Italia uno dei divari maggiori. Il 15% della giornata dedicato ad attività non remunerate. In Francia e Gran Bretagna il gap è di due ore, nei paesi nordici è meno di 60 minuti

di Luisa Grion su Repubblica

Tanto lavoro a casa gratis, poco lavoro fuori retribuito. Le italiane fanno i salti mortali per mettere assieme ufficio e famiglie, per coprire con la loro doppia attività l´assenza di servizi dedicati ai bambini e agli anziani e la persistenza di una discriminazione di ruoli dura a morire. Il risultato è che ogni giorno sono occupate per oltre cinque ore in attività che non garantiscono loro nemmeno un euro di paga. Tre ore e quaranta minuti in più di lavoro gratis rispetto agli uomini, che alle attività non retribuite dedicano una media di un´ora e quaranta al giorno.
A mettere in cifre la vita quotidiana di donne e uomini ci ha pensato l´Ocse (organizzazioni per la cooperazione e lo sviluppo economico) che, nel rapporto Society at glance fa i conti in tasca al lavoro delle famiglie compilando la graduatoria delle disparità fra ruoli e paesi. Una classifica dove l´Italia spicca, visto che quanto a gap uomini e donne, nell´Ocse peggio di noi fanno solo l´India, il Messico, la Turchia e il Portogallo.
Rispetto al passato, va detto, stiamo recuperando: le indagini Istat segnalano che se negli anni Novanta oltre l´80 per cento del lavoro domestico era svolto dalle donne, oggi quella quota si ferma al 71,5. Ma è indubbio che la corsa alla parità da noi ha ritmi troppo lenti e che tanto resta da fare.
In tutto il mondo, il lavoro non retribuito (che occupa circa il 15 per cento di una giornata) è considerato «cosa» da donne, più che da uomini, ma la differenza fra sessi, nella media Ocse si ferma a poco meno di due ore e mezza e i tutti nostri confinanti stano sotto quella quota. Nella Francia che fa tanti bambini e pure in Gran Bretagna, il gap uomo e donna è contenuto nelle due ore, in Germania si riduce di un altro quarto d´ora e che dire dei paesi nordici dove la differenza si dimezza? In Danimarca, per esempio, sia donne che uomini dedicano alle mansioni non pagate meno tempo, la differenza fra i due sessi c´è , ma si riduce a 57 minuti.
Dietro le tabelle dell´Ocse c´è una diversa concezione della vita (in Italia si dedica più tempo alla cucina, ma in assenza di alternative assistenziali anche a bambini e anziani), dei ruoli, dell´occupazione e degli stipendi. Da noi le madri stanno a casa non sempre per gioiosa scelta, ma perché gli asili nido non ci sono e quando ci sono costano troppo: vista la differenza di stipendio fra uomo e donna, a lei, in termini economici può con convenire lavorare fuori.
Una sorta di «compensazione» in realtà c´è: le italiane vanno in pensione prima delle colleghe straniere e ci restano più a lungo. L´assegno non sarà alto, visti i minori contributi, ma è destinato a durare nel tempo. Dal mix di minore anzianità lavorativa e buona prospettiva di vita deriva infatti un record previdenziale: le donne italiane godono della pensione per 27 anni, la media Ocse si ferma a 23,3 anni. Per l´uomo italiano si parla invece di 22,4 anni, al secondo posto della classifica dopo la Grecia. La media Ocse si attesta appena sotto i 18 anni.
L´alta divergenza fra uomini e donne è un fatto incide negativamente sulla crescita del paese e sulla natalità, pur se va precisato che il lavoro non retribuito dà di per sé un contributo alla ricchezza nazionale: l´Ocse stima che valga in media un terzo del Pil, ma l´intervallo oscilla fra il 19 per cento della Corea e il 53 del Portogallo.

sabato 9 aprile 2011

Donne e lavoro (precario)

Nel giorno della manifestazione nazionale contro il precariato Il nostro tempo è adesso, segnaliamo alcune letture su donne e precariato, da in genere www.ingenere.it

Il lavoro femminile bocciato all'esame di diritto
di Stefania Scarponi

Molte le leggi che hanno cambiato il mondo del lavoro anche per le donne. Ma le tutele più avanzate sono rimaste sulla carta, mentre la flessibilità nei tempi di lavoro è stata usata solo per le esigenze delle imprese. Spingendo sempre più donne fuori dal mercato del lavoro, o dentro una precarietà senza diritti

Precarie e precari, protesta in corpo
di Teresa Di Martino

Per rivendicare diritti. Per spezzare l'incertezza, ma anche la solitudine. Ecco perché il nove aprile il nuovo mondo del lavoro scende in piazza. Differenze di generazione e di genere in un movimento che cerca vie d'uscita dalla crisi della rappresentanza: una testimonianza dal gruppo delle "diversamente occupate"

Per avere diritti nuovi non bisogna tagliare i vecchi
di Marina Piazza, Anna Maria Ponzellini

L'assegno di maternità universale va contro tutele più avanzate del mondo del lavoro dipendente? No, perché aggiuge diritti a chi non ne ha, non li toglie a chi li ha già. Il gruppo "Maternità e paternità" risponde a Donata Gottardi sulla questione dei nuovi diritti per le nuove figure sul mercato del lavoro

Un manuale per italiane o per inglesi?
di Paola Di Cori

"Italiane", della storica Perry Willson. Biografia di un Novecento popolato da tutti e due i sessi, dalle prime mobilitazioni politiche ai meandri del femminismo. Un libro esperto, fatto con metodo anglosassone, ma di difficile importazione. Che ci dice che il cammino della storia delle sessualità è ancora agli inizi

Donne di denari. L'economia dei sentimenti
di Caterina Satta

"Vite economiche", di Viviana Zelizer. Un libro che si inoltra nelle oscure connessioni tra economia e sentimenti, per raccontarci di come le scelte dell'homo (e la foemina) economicus non siano per niente razionali ma intrise di motivazioni legate alla sfera affettiva e a quella sociale

Donne senza caporali
di Tiziana D'Armini

Archeologhe con la pancia. E senza diritti. La storia di un gruppo di lavoratrici precarie che cerca una strada alternativa, flessibile e solidale

Ti racconto il precariato
di Barbara Leda Kenny

Quando la vita diventa narrazione: tre giovani donne raccontano il lavoro precario, con autoironia e un'incredulità di fondo. "Non è possibile che stia succedendo a me" sembrano dirsi le protagoniste quando dal mondo della formazione cercano, faticosamente, di traghettarsi in quello del lavoro

Le donne buone e quelle cattive

di Silvia Ballestra
Il Riformista, 5 aprile 2011

INTERVENTO. Ci si aspettava gli attacchi da destra alla manifestazione “Se non ora, quando?”. Ma non dalle cosiddette femministe storiche come Luisa Muraro e Maria Nadotti, Laura Lepetit e Marina Terragni. L’accusa di bigottismo è infondata, non bisogna temere che i giudizi vengano strumentalizzati. C’è quotidianamente la possibiltà di scegliere che strada seguire.

Non poche donne sono rimaste amareggiate dalla presa di posizione di molte delle cosiddette femministe storiche verso la manifestazione del 13 febbraio. Prima di tutte, probabilmente, le organizzatrici delle piazze del “Se non ora, quando?”. E non perché si volesse una sorta di benedizione-legittimazione da parte della vecchia guardia: semplicemente, ci si aspettava di non essere attaccate. Se non aiutate (e il lavoro, per portare in piazza e accogliere allegramente centinaia di migliaia di persone, non è stato uno scherzo: tempo, contatti, energie, sottratti ai già numerosi impegni di ciascuna), magari non boicottate. E, invece, nei giorni precedenti la manifestazione, abbiamo assistito a un moltiplicarsi di distinguo, contrarietà, sarcasmi, dispiaceri vari.
In ordine sparso: il timore di andare «per conto di qualcuno» espresso da Luisa Muraro, le pulci fatte all’appello per la mobilitazione da Maria Nadotti, gli scuotimenti di capo di fronte alle sciarpe bianche di Laura Lepetit, il riposizionamento clamoroso (a manifestazione avvenuta o un attimo prima) di Marina Terragni e vari altri distinguo ancora.
Oltre ai prevedibili attacchi provenienti da destra e dai fiancheggiatori del Sultano, a sorpresa abbiamo visto riprendere gli stessi argomenti da donne apparentemente distantissime da quella parte politica: l’accusa di bigottismo, il timore di essere strumentalizzate, la divisione buone/cattive, la difesa d’ufficio della prostituzione sono stati spesi a piene mani sia dai Giuliani Ferrara & Co., sia da molte femministe, in rete o interpellate da alcuni quotidiani.
Vale dunque la pena tornare a riflettere su questi malintesi per non prestarsi a essere divise – qui sì, donne contro donne – da chi, in un momento di grande debolezza, è alla ricerca disperata di appigli e crepe.
L'accusa di bigottismo: chiedere di avere un’immagine della donna in tv e pubblicità meno ovvia e pecoreccia, meno disponibile e mercificata, meno – guarda caso – conforme ai fumettistici desideri da grado zero di certo erotismo maschile, significa essere bigotte? Chiedere di fare carriera per merito e non per favori sessuali è bigottismo? Denunciare le scorciatoie offerte alle donne è moralismo? O non è, piuttosto, autodifesa? Come mai i più giovani il moralismo non ce lo vedono e capiscono al volo, invece, di cosa si parla quando li si considera target, obiettivi di pubblicitari e autori di deleteri programmi tv diretti proprio a loro in quanto consumatori? Dire che trasmissioni come La pupa e il secchione fanno schifo e pietà sin dal titolo, significa essere bigotti? Moralisti? O non, più semplicemente, stufi di mistificazioni autoritarie e stucchevoli? Come ci ricorda saggiamente Bianca Beccalli sul Corriere, anche negli anni settanta si combattevano la donna oggetto e la mercificazione del corpo: “le femministe bruciavano i reggiseni, attaccavano i negozi di biancheria intima, non si depilavano”. Pensiamo per un attimo a come sarebbero rubricate oggi simili azioni: bacchettonismo molesto? Moralismo militante? O hanno ragione le ragazze di via Olgettina quando commentano al telefono gli acquisti di biancheria intima compiacendosi: «Più troie siamo più ci vuole bene»?
Il timore di strumentalizzazione: mi rendo conto che è seccante (è successo anche a me, in questi anni) vedere argomenti e riflessioni a lungo snobbate dai grandi media, riprese e sviluppate da chi non ti ha mai degnato d’attenzione, solo sull’onda dello scandalo sessuale di Berlusconi. È questo un buon motivo per impuntarsi, rinnegare le proprie battaglie sul tema, ritirarsi sdegnate? O non sarà l’occasione per usare proprio questa apertura di spazi e attenzione per far passare – assieme agli argomenti più facili e scorrevoli e familiari ed evidenti (il velinismo, le candidature dopate) – anche argomenti più ostici e complicati (il precariato, la crisi pagata dalle donne, gli attacchi all’autodeterminazione)? A tratti sembra che le femministe della vecchia guardia, chiamiamole così, si arrocchino nella difesa di un’egemonia ormai arrugginita, confinata in circoli e piccoli cenacoli autoreferenziali che rinchiudono un grande dibattito in un piccolo ghetto elitario e respingente. Le loro battaglie combattute da altre? I loro argomenti rinfrescati e agitati? Sacrilegio! Una posizione un po’ «dopo di noi il diluvio» che sembra oggi soltanto la rivendicazione di una primogenitura (grazie, brave) insieme al timore di essere scavalcate (o noi o niente).
La divisione buone/cattive, altro argomento strumentalmente cavalcato dai giornali del boss e da tante donne di destra. Insieme ad altre, sono stata accusata (io!) di indire una crociata, una nuova «caccia alle streghe» per aver chiesto le dimissioni di Nicole Minetti dal consiglio regionale della Lombardia. Da quando chiedere le dimissioni di qualcuno equivale a dare la caccia alle streghe? Mi si dice: dividete le donne in buone e cattive e questo non si fa. Sarà.
Peccato che personalmente passo la giornata a esercitare la mia libertà di giudizio e scegliere i comportamenti che ritengo più consoni, coerenti, limpidi, sia degli uomini che delle donne. Perché, solo per appartenenza di genere, una donna dovrebbe essere esente da critica? Dove sta scritto? Chi l’ha deciso, per me, in nome di una sorellanza purché sia, decisamente superata dagli eventi? Perché dovremmo rassegnarci a vedere ridotti i nostri spazi – essendo lo spazio pubblico costantemente occupato da donne caricaturali sbattute in heavy rotation in una televisione che non ha eguali nel resto dell’Occidente – e non rivendicare, anche solo per un giorno, per una piazza, la visibilità di donne alternative al modello di donna berlusconiana? Dire esisto anch’io e non sono quella roba lì significa attaccare altre donne?
Mi tengo la mia perplessità, e pure l’idea che la signorina Minetti occupi abusivamente una posizione di potere ben retribuita per i meriti che sappiamo.
Quanto alla prostituzione. Benissimo le riflessioni e le analisi d’antan, ma qui siamo di fronte a una diversa e ambigua interpretazione della prostituzione marcata già dal termine: escort. Non si tratta delle ragazze di strada ostaggio del racket, delle schiave del sesso, delle prostitute per necessità. Qui abbiamo delle ragazze che non hanno voglia di tribolare per un lavoro più difficile, per percorsi più accidentati, che si ripetono tra loro al telefono che «un cristiano normale deve lavorare sei mesi per prendere quello che ho preso io». Queste ragazze sono arrampicatrici sociali, molte di loro si dichiarano berlusconiane dalla nascita (qualcuna da tre generazioni!), perfettamente conseguenti alla ideologia del Capo a cui si consegnano anima e corpo, per la maggior parte niente affatto indigenti, capaci di comprarsi – coi soldi delle ricche buste elargite dal ragionier Spinelli – sino a venticinque paia di scarpe in un pomeriggio. Dovremmo provare solidarietà? Considerarle vittime? Ammirarle per il loro spirito imprenditoriale come ci invita, comicamente, a fare qualche uomo liberista scopertosi improvvisamente estimatore delle fortune su cui sedersi come Piero Ostellino, che di queste questioni è diventato l’ineffabile macchietta liberale? Dobbiamo dispiacerci per le carriere stroncate dal coinvolgimento nello scandalo? E di che carriere parliamo? Le solite. O nelle tv del Capo, o nella tv pubblica controllata dal Capo, o nei listini bloccati del Capo (e con stipendi da capogiro poi pagati dalle tasse di noi cittadini).
Tutte queste posizioni e sottili distinguo hanno naturalmente diritto di cittadinanza nel dibattito vivace, e per fortuna infinito, sulla condizione della donna. Ma la loro concomitanza con una grande manifestazione, il loro sapiente sfruttamento da parte della propaganda del padrone le ha trasformate, nei fatti, in un elemento di rottura, in un attacco frontale alle donne che sono invece scese in piazza, tante e volentieri, il 13 febbraio. L’accusa di “farsi strumentalizzare” è dunque risibile: possibile che non si siano sentite strumentalizzate dai Belpietro e dai Sallusti di turno le vecchie militanti, proprio loro così argute e scafate?
La richiesta di dignità, molto citata nella fortunata manifestazione del 13 febbraio passa anche per la denuncia di comportamenti poco dignitosi, che siano maschili o femminili. Streghe, qui, non ce ne sono, non c’è il bene e non c’è il male, non c’è il buono e non c’è il cattivo. C’è chi chiede dignità e chi se la vende per buste di contanti. Mi pare semplice.

Brano tratto dal numero 130 de Lo straniero, diretto da Goffredo Fofi, Contrasto editore.

giovedì 7 aprile 2011

Il nostro tempo è adesso



Il comitato nazionale
Se non ora quando? aderisce alla manifestazione Il nostro tempo è adesso indetta sabato 9 aprile in tutta Italia per sostenere la protesta delle giovani e dei giovani precari, delle lavoratrici e dei lavoratori autonomi, delle studentesse e degli studenti senza lavoro, sottopagati o costretti al lavoro invisibile e gratuito.

Vogliamo un paese che rispetti le donn
e, oggi penalizzate persino più degli uomini dalla precarietà delle condizioni di lavoro, in piena continuità con i temi espressi dall’appello del 13 febbraio e con le proposte avanzate in occasione dell’8 marzo, invitiamo perciò donne e uomini dentro e fuori dai comitati locali a scendere in piazza a fianco delle precarie e dei precari d’Italia.

Il nostro tempo è adesso: la vita non aspetta.

Il comitato nazionale Se non ora quando?

domenica 3 aprile 2011

Diventare Cittadine

DIVENTARE CITTADINE: LE DONNE E LA COSTRUZIONE DELLA NAZIONE

Il 15 aprile 2011 dalle 09.30 alle 19.00 presso la Sala Protomoteca, Campidoglio

Organizza la Fondazione Nilde Iotte

09.30 apertura lavori
Marisa Malagoli Togliatti
Presidente Onorario della Fondazione Nilde Iotti
Saluti
Gianni alemanno, Sindaco Comune di Roma
Rosy Bindi, Vicepresidente della Camera dei Deputati

10.30-13.30
“La partecipazione delle donne al Risorgimento”
Ilaria Porciani, Università di Bologna
“Le lotte per il diritto di voto”
Vinzia Fiorino, Università di Pisa
“Nilde Iotti, le Costituenti e la Costituzione”
Francesca Russo, Università Suor Orsola Benincasa,
Napoli

14.30-19.00
Introduce:
Livia Turco
Presidente Fondazione Nilde Iotti
Saluto di Giuliano Amato
Presidente del Comitato delle celebrazioni dei 150 anni
dell’Unità d’ Italia

LE NUOVE SFIDE DELLA DEMOCRAZIA
“Democrazia plebiscitaria, videocrazia, populismo e liberà femminile”
Nadia Urbinati, Columbia University
“Promuovere Leadership femminili”
Sofia Ventura, Università di Bologna
“Lavoro e condizione sociale”
Marisa Ferrari Occhionero, Università La Sapienza
di Roma
“Trasformazioni culturali ed identità di genere”
Marina D’Amelia, Università La Sapienza di Roma
“Convivenza tra differenti culture”
Ingrid Stratti, Università di Trieste
“Essere Italiane Oggi”,
Cristina Comencini, scrittrice e regista